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Uomo di grande cultura e poliedrica personalità, titolare della cattedra di Anatomia e istologia patologica presso l'Università di Torino dal 1951, applicò il suo ideale di giustizia sociale allo studio delle malattie professionali. Il suo interesse scientifico per le malattie da inalazione di polveri, quali la silice cristallina e le fibre di asbesto, non si esauriva nella loro attribuzione nelle usuali categorie della patologia, ma si estendeva alle circostanze di esposizione e ai meccanismi patogenetici.
Combatté sempre quale medico perché la vita dei lavoratori venisse protetta, anche quando medici di importanti industrie metallurgiche negavano pubblicamente che nei loro stabilimenti vi fosse ragione di preoccuparsi per la silicosi, in un tempo in cui già operai, da loro visitati, erano poi deceduti e riconosciuti morti per silicosi in autopsie da lui eseguite.
Fu autore di un importante articolo di denuncia sul primo numero della rivista Cultura e Realtà (1950): “L'ammalato per contratto di lavoro. Considerazioni indotte dallo studio delle malattie polmonari da polveri industriali”. In esso scrisse tra l’altro: “L'indennizzo obbligatorio è una grande conquista, ma il medico non può non considerare il suo aspetto di puro ripiego di fronte al fallimento della terapia e della prevenzione. … La prevenzione obbligatoria delle malattie professionali si trova in contrasto con l'esigenza del basso costo a oltranza e, stia pure essa a far bella mostra di sé nella legislazione, il sistema attuale di produzione non può non cercare di eluderla, giacché la salute dell'operaio è il bene per esso meno costoso.”
Fu assessore (con sovraintendenza allo Stato civile e ai cimiteri) della prima giunta dopo la Liberazione di Torino (Giunta Roveda) dal 1945 al 1946, come componente del CLN rappresentante della Sinistra Cristiana. Ricorda egli stesso in appunti autobiografici che in questo ruolo ebbe a occuparsi della registrazione di nascite, morti, matrimoni: “In tema di accertamento di morti ebbi il non lieve compito di numerare gli uccisi nei giorni della Liberazione e di provvedere alla loro identificazione. E’ mio dovere precisare quanto ben so per prova diretta. Gli uccisi furono all’incirca trecento, quasi tutti tedeschi sorpresi a smantellare motori o altre apparecchiature … Non più di una trentina erano italiani fascisti: fra questi vi furono certamente vittime non solo della lotta ideologica, ma anche di vendette personali… Sono assolutamente da smentire le cifre smodatamente gonfiate che vennero poi in voga”.
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